Poeta italiano. Figlio della nobildonna
napoletana Porzia de' Rossi e di Bernardo Tasso, a sua volta poeta e letterato,
visse la sua infanzia a Salerno, dove il padre era a servizio del principe
Ferrante Sanseverino. Quando quest'ultimo venne cacciato dal Regno di Napoli,
anche Bernardo venne esiliato e
T., ancora bambino, lo seguì a
Roma. Nel 1556 morì la madre: fu questo il primo evento autobiografico
che il poeta lesse come segno del proprio destino infelice e di vittima della
"fortuna". Visse con il padre a Pesaro e a Urbino, poi si
trasferì a Venezia e a Padova dove seguì fino al 1565, senza
terminarli, corsi di Diritto, Filosofia ed Eloquenza. In questi anni compose
versi di ispirazione amorosa e un poema in ottave di 12 canti, il
Rinaldo
(1562). Nel 1565 si stabilì a Ferrara, presso la corte dei duchi d'Este,
dove trascorse gli anni più felici e creativi della sua esistenza.
Dapprima al servizio del cardinale Luigi d'Este, lavorò ad alcuni
Dialoghi, a una prima idea del poema su Gerusalemme (concepito già
dal 1559) e compose, tra il 1567 e il 1570, i
Discorsi dell'arte poetica,
pubblicati però solo nel 1587. In seguito a un viaggio in Francia con il
cardinale, scrisse le
Osservazioni sullo stato di Francia (1571), mentre
nel 1572 passò al servizio diretto del duca Alfonso II (in realtà
una sorta di
sine cura): a quel medesimo anno risale il dramma pastorale
Aminta e agli anni seguenti, fino al 1576, un gran numero di rime, di
prose e di opere teatrali (i primi atti di
Galealto re di Norvegia, che
nel 1587 si trasformò nel
Re Torrismondo) e, soprattutto, il suo
capolavoro, la
Gerusalemme liberata, conclusa nel 1575.
L'equilibrio psicologico e artistico di cui
T. aveva goduto fino ad
allora si spezzò, lasciando spazio a inquietudini di carattere sia
religioso (dubitando della propria ortodossia, il poeta si sottopose perfino al
giudizio di un inquisitore che, peraltro, lo assolse), sia letterario (chiese
l'opinione di numerosi amici sulla
Gerusalemme, offendendosi poi per i
loro giudizi). A poco a poco
T. si lasciò prendere da una vera e
propria mania di persecuzione, che non poté più nascondere quando,
credendosi spiato, arrivò al punto di aggredire con un coltello un servo:
la riprovazione della corte lo spinse a lasciare Ferrara, nel 1577, ed egli
vagò da una città all'altra finché, nel 1579, vi
ritornò per presenziare al matrimonio del duca Alfonso con Margherita
Gonzaga. Offeso per la trascuratezza con cui venne accolto,
T. perse il
controllo di sé e, giudicato ormai alla stregua di un pazzo, venne
rinchiuso dal duca nell'ospedale di Sant'Anna. Qui rimase per sette anni,
trattato più come un prigioniero che come un malato: la critica moderna
si è divisa tra l'ipotesi di una sua reale follia di tipo paranoico e
quella di una simulazione, mediante la quale
T. si sarebbe protetto con
la reclusione da un mondo che avvertiva come malevolo e minaccioso. In quegli
anni, tuttavia, il poeta scrisse molto: la maggior parte dei
Dialoghi,
più di 600 liriche e soprattutto lettere, in cui impetrava interventi per
la sua liberazione e da cui nacque la leggenda (che ebbe molta fortuna durante
l'Ottocento e il Romanticismo) che
T., per nulla pazzo, sarebbe stato
internato solo allo scopo di osteggiarne l'amore per la sorella del duca
Alfonso, Eleonora d'Este. La liberazione giunse nel 1586, quando Vincenzo
Gonzaga, cognato del duca, volle portare con sé a Mantova
T.
Presto ripresero le peregrinazioni del poeta, tra Roma, Napoli, Firenze e la
stessa Mantova, da un protettore all'altro: nel mentre compose opere minori
(
Rogo amoroso,
Genealogia di casa Gonzaga) e
cominciò
Le sette giornate del mondo creato, che concluse solo nel
1594 (pubblicato postumo nel 1607); in quegli anni attese anche al rifacimento
del suo poema, pubblicando nel 1593 la
Gerusalemme conquistata, dedicato
al suo ultimo mecenate, il cardinale Aldobrandini. Sempre al 1593 risalgono le
stanze di ispirazione religiosa
Le lagrime di Maria Vergine e
Le
lagrime di Gesù Cristo (45 in tutto) e al 1594 il dialogo
Delle
imprese e i discorsi
Del poema eroico, concepiti come appendice ai
Discorsi dell'arte poetica, con i quali voleva dare
giustificazione teorica al rifacimento della
Liberata. Durante il suo
soggiorno in Vaticano nel marzo 1595, quando era già stata fissata la
data per la sua incoronazione poetica in Campidoglio sulle orme di Petrarca,
T. si ammalò e morì, il 25 aprile: fu sepolto nella chiesa
del convento di Sant'Onofrio sul Gianicolo. ║
Opere. Le Rime:
furono composte nell'arco di tutta la vita del poeta. Pur restando nel solco
della tradizione contemporanea, che a partire da Bembo indicava nella struttura
e nel lessico del
Canzoniere di Petrarca il modello imprescindibile di
ogni raccolta lirica,
T. fu artefice di tali innovazioni che le sue
Rime diventarono per i due secoli successivi il modello che quelle
petrarchesche erano state fino a quel momento. La produzione lirica di
T.
non si configurò infatti come racconto autobiografico: quando il poeta ne
curò la pubblicazione, divise i componimenti secondo un criterio
contenutistico. L'edizione padovana del 1591 fu dedicata agli
Amori,
quella bresciana del 1593 a
Laudi ed Encomi; secondo i suoi progetti
avrebbero dovuto seguire una terza parte di
Cose sacre e una quarta di
Rime irregolari. Nel complesso, le
Rime costituiscono una sorta di
grande enciclopedia dei linguaggi e dei modi lirici da Petrarca a Della Casa,
autore quest'ultimo prediletto da
T. e da cui egli trasse, per
utilizzarlo al meglio, lo strumento del verso spezzato o
enjambement. Due
sono i caratteri essenziali della lirica di
T.: da un lato l'estrema
musicalità tanto del lessico quanto del metro, che sortiscono una
perfetta armonia con le immagini, a produrre una vena melodica che - soprattutto
per quanto riguarda il gruppo dei madrigali - ispirò non a caso l'opera
di musicisti quali Gesualdo e Monteverdi; dall'altro la vitale potenza
immaginativa, in forza della quale si delinea un gusto nuovo, fatto di
suggestioni lessicali, ricerca di acutezze concettuali, invenzioni,
immaginosità, metafore e artifici retorici, ecc. Tutti elementi peculiari
della successiva civiltà letteraria secentesca, che infatti riconobbe in
T. il proprio modello e precursore. Se già le liriche di argomento
amoroso riflettono un clima cortigiano e controriformista, questi caratteri sono
ancora più evidenti nei componimenti encomiastici, ai quali tuttavia
T. - facendone talvolta momenti di confessione o di colloquiale
intimità - riuscì ugualmente a imprimere il marchio del proprio
genio inventivo. ║
Rinaldo: il vero esordio poetico di
T.
è questo poema cavalleresco di 12 canti, in ottave di endecasillabi
(V. anche RINALDO).
Vi si narrano le imprese del cavaliere Rinaldo da Montalbano, uno dei più
celebri paladini di Carlo Magno, ritratto nella sua giovinezza, dal momento in
cui lascia la casa paterna per conquistare la gloria fino all'evento culminante
delle sue nozze con la bella Clarice, sorella del re di Guascogna. Per poterla
sposare il cavaliere è costretto a fornire prove numerose del proprio
valore, a causa delle quali si trova a vivere meravigliose avventure. Il
Rinaldo rappresenta la risposta giovanile di
T. al dibattito in
corso in quei tempi sulla possibilità o meno di conciliare, nel genere
epico-eroico, il modello classico dei poemi omerici e virgiliani e delle regole
aristoteliche con la libertà narrativa inaugurata da Ariosto.
T.,
da parte sua,
si propose di mediare tra la norma aristotelica
dell'unità di azione e la nuova poetica incline alla varietà nel
racconto, tenendo costantemente in scena il protagonista, che di tale
unità si fa perno nel susseguirsi degli episodi. Pur non mancando nella
storia l'elemento del "meraviglioso" (si pensi agli interventi del
mago Malagigi), il tono peculiare del poema si colloca altrove, nella
rappresentazione dell'amore nell'ambiente cortigiano, nell'atmosfera idillica,
talvolta malinconica, ma mai tragica né, appunto, eroica. Alcuni critici
hanno definito il
Rinaldo una commedia dell'amore, in cui confluiscono
tanto temi e modi della letteratura cortigiana e realista, quanto suggestioni
classiche: nell'episodio di Floriana amata ma poi abbandonata da Rinaldo si
riconoscono a un tempo il Virgilio di Didone ed Enea, il Catullo e l'Ovidio di
Arianna e Teseo, l'Ariosto di Olimpia e Bireno. Nel lirismo e nell'idillio
proprio di questo poema giovanile
T. sperimentò, tuttavia, anche
toni e temi che rifluirono anni dopo nel capolavoro della
Gerusalemme
liberata: lo struggimento d'amore, il senso scenografico nella descrizione
degli scontri d'arme, l'accordo del paesaggio con lo stato d'animo di chi vi si
trova, da limpido e ridente a desolato, cupo, sconvolto. ║
Aminta:
dramma pastorale in cinque atti, composto in versi endecasillabi alternati a
settenari e costruito nel rispetto del principio dell'unità di tempo e di
luogo.
T. compose quest'opera pienamente immerso nel clima della corte
estense ma anche in quello culturale della città di Ferrara, in cui la
ricerca teatrale era vivace e in cui il genere pastorale, per sua stessa natura
di argomento amoroso, andava sviluppando il carattere peculiare - e pienamente
accolto nell'
Aminta - del lieto fine a coronamento di un andamento
infelice dell'azione. Come già nel genere latino dell'ecloga (e taluni
critici definiscono l'
Aminta un'ecloga dialogata), anche nel dramma
pastorale la finzione poetica lascia trasparire dietro i personaggi, le
situazioni, i riti, ecc. la realtà dell'ambiente di corte e cittadino, se
pur trasfigurati e purificati; in un certo senso
T. veniva idealizzando
la vita e la sensibilità cortigiana che, depurate dalla rozza
realtà, ne sortivano come costituite da soli sentimenti di gentilezza,
leggiadria e amore. Dalla vicenda del pastore Aminta, innamorato della ninfa
Silvia, in un primo momento respinto e, solo dopo il tentato suicidio,
felicemente corrisposto,
T. espunse ogni elemento violento, cruento o
semplicemente tragico a favore di un tono decisamente lirico, talvolta
nostalgico, in cui si intrecciano il rifiuto per i valori dominanti nella corte,
come l'onore, e il rimpianto sincero per un'età in cui la vita era
regolata non dalla legge del dovere ma dalla naturalezza del piacere:
"s'ei piace ei lice". L'
Aminta, che si impose come esempio di
poesia colta e raffinata e i cui destinatari erano di necessità membri di
una ristretta
élite culturale, veicolava dunque un'apologia
dell'istinto naturale a fronte di ogni costrizione moralistica o religiosa.
D'altra parte, il carattere idillico dell'opera impediva qualsiasi
approfondimento psicologico dei personaggi o un vero evolversi dell'azione,
più narrata che agita di fronte al pubblico, nutrita di immagini,
descrizioni, colori, sapientemente tratti dal vasto patrimonio poetico di cui
T. disponeva: dagli alessandrini ai classici, da Petrarca a Poliziano,
fino all'Ariosto e a tanti minori (per ulteriori notizie e la trama,
V. AMINTA). ║
I Discorsi dell'arte
poetica,
La Gerusalemme liberata e le polemiche successive:
come già il genere della favola pastorale, anche il poema epico ed eroico
era oggetto di discussioni e riflessioni nella vivace Ferrara del XVI sec. Da
una parte c'era chi giudicava un valore da tutelare la libertà e
fecondità inventiva del poema di Ariosto, dall'altra chi (come il
Trissino) sottolineava la necessità di maggior rigore e
uniformità, secondo i dettami classici e omerici e il principio
aristotelico dell'unità di azione.
T., che nel
Rinaldo
aveva già proposto una soluzione a questo problema, lo affrontò
nuovamente nei suoi
Discorsi e applicò poi i principi teorici
lì esposti nel suo poema. Partendo dal dato di fatto che i lettori
amavano la varietà della poesia ariostesca,
T. intese declinarla
con l'unità d'azione, che poteva a suo parere sussistere anche se variata
in una molteplicità di episodi. L'argomento doveva essere storico,
attinto da un'età né troppo antica né troppo recente,
perché solo la storia attribuisce vera grandezza alla poesia epica; era
per lui necessario unire il vero storico al "meraviglioso",
escludendo però ogni ricorso alla mitologia pagana e rifacendosi invece
all'universo cristiano, cui appartengono, ad esempio, il conflitto tra Dio e
Satana, angeli e demoni, maghi e incantesimi. Fine dell'
epos, per
T., è presentare in una luce di grandezza eroica (cioè
più che umana) le gesta e le passioni dei personaggi, che risultano
sempre estremi sia nel bene sia nel male e che agiscono in un universo
complesso, la cui totalità è nota al solo Autore: nei confronti
del suo poema, infatti, l'Autore è come un dio, il padrone assoluto di
una creazione di cui egli solo regge le fila e conosce gli esiti. Il linguaggio
e lo stile attengono al sublime, prediligendo il tono tragico e l'elegiaco, con
il periodare ampio consentito dall'ottava di endecasillabi, verso che
T.
utilizzò nella
Gerusalemme anche spezzato alla maniera di Della
Casa, come già aveva fatto nelle
Rime. La teoria dei
Discorsi venne subito applicata da
T. alla stesura del suo
capolavoro, che già nel 1575 era completato, anche grazie alla nuova
tensione religiosa vissuta dal poeta nel nuovo clima della Controriforma (il
Concilio di Trento si era chiuso nel 1563) e della vittoria cristiana contro la
flotta turca nella battaglia di Lepanto (1571). Questo episodio influì
sicuramente sulla scelta dell'argomento: la prima crociata per la liberazione
del Santo Sepolcro (1096-99), un episodio abbastanza distante nel tempo da
lasciare spazio all'invenzione ma anche un tema quanto mai attuale, quello dello
scontro tra le due religioni e civiltà. Ancora ragazzo,
T. si era
cimentato a narrare la crociata, ma il giovanile
Gerusalemme (abbandonato
dopo un centinaio di ottave) aveva come oggetto l'impresa collettiva, mentre il
poema della maturità tratta, in 20 canti di ottave e nello schema dello
scontro tra cristiani e musulmani, una serie di vicende singole, in cui lo
spazio di gran lunga maggiore è attribuito al racconto di amori,
passioni, magie e incantesimi, riducendo per contro le descrizioni dei momenti
più tipicamente epici, come gli scontri armati, i duelli, le rassegne dei
guerrieri, ecc. Ciò nonostante dall'
epos per eccellenza,
l'
Iliade, il poeta mutuò l'inizio
in medias res del suo
racconto, che non narra l'intera crociata, ma solo la sua fase conclusiva,
momento in cui ogni fatto poteva essere tinto di una sua particolare
tragicità ed intensità (per ulteriori notizie e la trama,
V. GERUSALEMME LIBERATA, LA). La vicenda
editoriale della
Gerusalemme liberata fu tormentata: la circolazione di
numerosi manoscritti, che l'autore aveva compilato per i suoi revisori e amici,
favorì la realizzazione di edizioni pirata, la prima delle quali fu
quella veneziana del 1580, titolata erroneamente
Il Goffredo (dal nome
del condottiero cristiano che guidava la crociata, Goffredo di Buglione),
incompleta (solo 14 canti), scorretta e non autorizzata:
T., rinchiuso a
Sant'Anna, non poté impedirla. Più curate furono le edizioni
ferraresi del 1581, che riportavano il titolo corretto e definitivo, e quella
mantovana del 1584. La novità poetica dell'opera - che esprimeva un senso
tragico dell'esistenza, soprattutto attraverso le figure eroiche e solitarie dei
personaggi - suscitò polemiche tanto di carattere linguistico e
letterario quanto di carattere religioso, cui
T. cercò di
ribattere mediante epistole e libelli. Se da un lato il dibattito si
centrò sul confronto tra l'
Orlando e la
Gerusalemme, su
quale dei due poemi fosse il migliore o ancora sull'opportunità
dell'abbondante materia amorosa e magica, dall'altro la polemica riguardò
le scelte linguistiche operate da
T. Il poeta affermò
sdegnosamente di non accettare confronti che con se stesso, ma ai rimproveri
mossigli dall'Accademia della Crusca (in particolare da Salviati) rispose nella
Apologia della Gerusalemme liberata, difendendo la sua volontà di
superare la ristrettezza del solo lessico petrarchesco, troppo limitato e non
sufficiente a dispiegare un registro veramente sublime: per ottenere questo
stile veramente alto,
T. aveva perciò utilizzato anche latinismi e
forme dantesche. Per quanto ci riguarda, se anche hanno a tutt'oggi una loro
ragione d'essere le critiche per incongruenze e inverosimiglianze
nell'invenzione, per scadimenti dello stile in senso oratorio e pedante, per un
eccessivo compiacimento in certi artifici stilistici e ridondanze verbali, alla
poesia di
T. vanno tuttavia riconosciuti caratteri di grande potenza
innovativa ed efficacia estetica. Tra questi ricordiamo il capace gioco della
variatio dei toni, grazie all'inserzione, nella compattezza del tessuto
narrativo dell'ottava, di brani a carattere tragico, elegiaco, lirico o di vaste
zone di intima riflessione o ancora di abbandono descrittivo, in cui la natura
dei paesaggi (desolati o leggiadri, ma sempre estesi e disabitati) rivolge un
monito alla fragilità e all'impotenza umana; ne risulta che il carattere
tipico del romanzo moderno, cioè l'alternarsi dell'azione con il momento
descrittivo e discorsivo, è già riscontrabile nelle ottave di
T. ║
I Dialoghi: in numero di 28, questo gruppo di scritti
fu composto quasi integralmente durante gli anni della reclusione a Sant'Anna,
benché alcuni siano più tardi e relativi agli ultimi due o tre
anni di vita del poeta. Loro modello ideale fu il dialogo platonico e, per certi
aspetti, quello ciceroniano, benché
T. avesse presente anche il
genere letterario del dialogo cinquecentesco. Da un punto di vista filosofico,
T. non dimostrò alcuna originalità, limitandosi a
un'esposizione eclettica dei vari temi e riportando le opinioni più
diffuse, in equilibrio tra il Neoplatonismo di ascendenza umanistica e
l'Aristotelismo controriformista. Gli argomenti affrontati sono i più
vari: il gioco, il piacere, la nobiltà, la poesia, la virtù,
l'amore, la dignità, la bellezza, ecc. ║
La Gerusalemme
conquistata e le ultime opere: la decisione del poeta di rimettere
mano al suo capolavoro fu dovuta a motivi di natura religiosa (alcuni episodi
erano stati giudicati moralmente sconvenienti e nell'impianto generale la
religiosità risultava più un elemento esterno che costitutivo
della vera natura dei personaggi) ma anche a necessità di teoria
letteraria.
T., infatti, come espose poi nel suo ultimo
Discorso del
poema eroico, aveva istituito uno stretto rapporto tra la poesia e la
religione, assimilando anzi la funzione del poeta a quella del teologo, in
quanto entrambi dovrebbero meglio svelare le cose divine. Da ciò la
necessità di esprimersi con toni più gravi e solenni, organizzando
l'azione poetica con maggiore unità e secondo una più stretta
adesione alla verità storica. La soppressione di alcuni episodi
(giudicati tra i più felici della
Liberata) si spiega non solo con
l'irrigidimento moralistico, ma anche con il progressivo abbandono del registro
idillico e lirico, con l'esclusione dall'universo narrativo della
Conquistata
dell'evasione fantastica e dell'elemento magico e meraviglioso, mentre il
poeta delineava una nuova visione del mondo dominata dal senso del tragico. Cupa
e tragica è anche l'ultima opera teatrale (rappresentata postuma),
Re
Torrismondo. Tragedia in cinque atti, di ispirazione senecana, affronta
ancora una volta, attraverso la storia di un involontario incesto che si consuma
nel Regno nordico della Gotia, il tema dell'opposizione e dello scollamento tra
desiderio e regola morale e sociale. Infine, la svolta moralistica e religiosa
della
Conquistata fu tradotta da
T. nei suoi ultimi scritti di
argomento espressamente religioso:
Le lagrime di Maria Vergine,
Le
lagrime di Gesù Cristo e
Le sette giornate del mondo
creato. Quest'ultimo è un poema in endecasillabi sciolti, in cui si
narra la creazione dell'universo, tra suggestioni del
De rerum natura
lucreziano e del
Paradiso perduto di Milton, il cui valore poetico
è, ancora una volta, annullato dalla troppo fredda premeditazione
letteraria (Sorrento, Napoli 1544 - Roma 1595).
Ritratto di Torquato Tasso
SINOSSI DELLE OPERE DI TORQUATO TASSO
|
Titolo
|
Genere letterario
|
Data di composizione e/o pubblicazione
|
Rime
|
Versi (metri vari)
|
1562-1594. Amori pubblicati nel 1591 e Laudi ed encomi nel
1593
|
Rinaldo
|
Poema cavalleresco
|
1562
|
Discorsi dell'arte poetica
|
Prosa
|
1567-1570; pubblicati nel 1587
|
Osservazioni sullo stato di Francia
|
Epistola
|
1571
|
Aminta
|
Dramma pastorale
|
1572; rappresentata la prima volta nel 1573; pubblicata nel 1581
|
Galealto re di Norvegia
|
Tragedia
|
1573 (interrotto al II atto)
|
Re Torrismondo
|
|
1587
|
Gerusalemme liberata
|
Poema eroico
|
1575; pubblicata nel 1580
|
Dialoghi
|
Prosa
|
1578-1594
|
Gerusalemme conquistata
|
Rifacimento della Liberata
|
1593
|
Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù
Cristo
|
Poemetti in stanze (45 complessive)
|
1593
|
Le sette giornate del mondo creato
|
Poemetto in versi sciolti
|
1592-1594
|
Epistolario
|
lettere
|
-
|